Una giornata come tante

(Egon Schiele)

racconto di Federica Parri

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"I giorni scorrevano uno uguale all’altro, era mattina, l’ennesima mattina, e i rumori della cucina annunciavano che qualcuno sarebbe passato a chiamarlo da li a poco. Si rigirò nel letto, le coperte erano tiepide, ruvide ma accoglienti, un po’ di luce passava dalle tapparelle delle finestre e l’odore del caffè arrivava fin lì. Sentì il compagno di camera che grufolava nel letto e un moto di stizza gli fece fare una smorfia. Alzandosi rabbrividì al contatto con l’aria autunnale fresca e pungente, si mise una maglia per ripararsi dal freddo e senza lavarsi il viso si diresse verso la cucina a prendere il caffè. Mentre camminava nel corridoio sentì le voci delle operatrici in turno, capì subito dal tono che erano Franca e Cecilia, non male, solitamente davano porzioni abbondanti di caffè e non erano tirchie di sigarette. Si preparò a mostrare un sorriso ma le solite domande di tutti i giorni glielo strapparono dalle labbra. Quella monotonia, la ripetizione di gesti e parole ogni giorno uguali non le sopportava più.
Era ormai nove mesi che si trovava in quella comunità e aveva imparato per filo e per segno quali erano le risposte da dare, aveva individuato gli operatori con i quali confidarsi e quelli a cui invece stare alla larga, sapeva dove nascondere le sigarette e cosa fare per convincere i medici a dargli un permesso più lungo. Quello però a cui non riusciva ad adattarsi erano le attività, che consistevano nel trovarsi tutti insieme a discutere articoli di giornale, brani di libri, o a parlare di sé, niente di più stupido e con quei compagni poi, lui non aveva proprio nulla da condividere. Preferiva di gran lunga stare sul letto a ascoltare musica o a fumare sigarette o meglio andare a un bar a prendere qualcosa, piuttosto che passare i pomeriggi a dire e a sentire stupidaggini. 

Quella mattina però le voci dentro di sé si facevano sempre più intense, provò a scacciarle accendendo l’MP3, ma niente, non volevano proprio andarsene. Purtroppo aveva il dono di leggere nel pensiero degli altri e sentiva che i suoi compagni lo offendevano, insultando lui e sua madre. Le offese erano pesanti e infamanti, non le poteva proprio sopportare. Lui che rispettava sempre tutti, che era amato da Dio e onorava i suoi comandamenti, come osavano proferire tali parole nei suoi confronti? 

Si mise in giardino, lontano dagli altri per cercare di placare la sua angoscia, ma niente, le voci si facevano sempre più forti e cattive. Lo sguardo gli diventò cupo, sentiva un profondo peso sulle spalle che lo portava a piegarsi in avanti e un immenso senso di sofferenza s’impadronì lui. Il giardino che aveva davanti agli occhi si trasformò in un luogo infuocato, vide Antonio, il suo compagno di stanza che commetteva atti atroci, di ferocia e di violenza contro suo madre. 

Non potè sopportare oltre, in preda all’ira percorse l’ingresso ed entrò nella sala da pranzo, il suo compagno era proprio lì, seduto sul divano. 

Erano stati sempre amici, quando fu inserito in struttura Antonio si mostrò gentile con lui, gli spiegò come era meglio comportarsi, lo aiutò nei momenti di crisi, aveva iniziato a volergli bene ma questo non glielo doveva fare, da lui proprio non se l’aspettava. Si fermò di fronte al compagno e sentì la sua voce entrare più profondamente nella sua testa, quasi a fargli male, gli insulti diventavano sempre più volgari e gli laceravano il cuore. Si diresse come una furia verso il compagno, con lo sguardo serio e i pugni stretti chiedendo: “Come osi?” Quello farfugliava, faceva finta di niente quel vile, ma intanto continuava a offendere mentalmente sia lui che sua madre. Come si permetteva? Doveva ricevere una lezione, quell’infamia non poteva che essere lavata con il sangue, sferrò un pugno, poi un altro e un altro ancora finché Antonio non finì a terra piegato su se stesso, solo un sibilo usciva dalla sua bocca e i pantaloni si facevano sempre più bagnati. La colluttazione durò pochissimo, Simone quando voleva sapeva picchiare bene e fare male, era come se attingesse da una forza interna molto potente, sapeva che Dio si univa a lui per aiutarlo in queste dolorose missioni. Quando si fermò si accese una sigaretta guardando il compagno a terra che si lamentava coprendosi il volto con le mani. Sentì di aver compiuto il suo dovere, che Dio era soddisfatto di lui, d'altronde questa era l’incarico che gli era stato assegnato: difendere il mondo dai Cattivi. Era quello che aveva sempre fatto e quello che i dottori non volevano capire, per cui lo avevano chiuso in quella comunità, non comprendevano che Dio stesso gli indicava la via e loro non potevano interporsi. Ma come spiegare ciò che sentiva e ciò che vedeva quando tutti facevano finta di niente, come se non sentissero, come se non vedessero ciò che succedeva intorno?! 

Negavano la telepatia, negavano la missione che Dio gli aveva assegnato e negavano il suo diritto a difendersi. 

Arrivarono le operatrici, tirarono su Antonio da terra, chiesero cosa fosse successo ma bastò uno sguardo per capire, chiesero a Simone perché ma lui non rispose, continuò a fumare la sua sigaretta lentamente, pensieroso, guardando il compagno. Le voci interne si erano placate, adesso finalmente poteva avere un po’ di pace. 

Si rendeva conto che intorno a lui c’era tensione, agitazione. Il telefono squillava di continuo, le operatrici parlottavano sottovoce tra di loro, poi iniziò a sentire in lontananza il suono di un’ambulanza, poi un’altra. Vide comparire degli infermieri in camice bianco, se l’aspettava, succedeva sempre così, d'altronde loro non potevano capire, non avevano il dono. Li seguì senza fare storie."