Sull'esperienza del cambiamento

(Alfred Sisley)

Da partecipante al T-group ricordo proprio tantissimo la sensazione di essere come su una boa in mezzo al mare in mezzo ad altre boe. Ci sono momenti dove per spostarsi si mantiene l’equilibrio attraverso l’appoggio alle altre boe e momenti in cui urtandole invece si perde l’equilibrio, momenti in cui si può decidere di stare fermi ma il movimento del mare lo impedisce e momenti in cui ci si vuol muovere e tanti fattori lo impediscono. Che differenza c’è tra tutto questo e la vita? Nessuna in un certo senso; nella vita avviene la stessa cosa, con l’unica differenza che ci sono uno spazio e un tempo più comodi per le difese che come animali abbiamo ereditato dall’evoluzione, il mimetismo, la fuga ecc. 
A me l’esperienza del T-group ha realmente cambiato la vita, aprendomi al mondo e all’esistenza in modo vivo, responsabile, affamato e plurale: ne parlo con le stesse parole con le quali posso parlare di un’esperienza psicoterapeutica. E’ vero infatti che tutt’oggi come allora inseguo il T-group per la consapevolezza e il cambiamento e faccio Gestalt in definitiva per lo stesso motivo. 

In Gestalt si parla di teoria paradossale del cambiamento suggerendo in sostanza che il vero cambiamento è prendersi per come si è e per questo si parla di accettazione dando così tanta importanza a questa parola. Accettarsi è possibile, diventare diverso è in sé impossibile proprio perché siamo ciò che siamo e non qualcun altro. La persona è la dinamica continua dei suoi bisogni nella relazione con l’ambiente e il conflitto è dovuto alla negoziazione più o meno funzionale (e talvolta mancante in modo distruttivo) tra le tante spinte che cercano soddisfazione; spesso questi conflitti rimangono irrisolti perché trasportano in loro una grande carica energetica emozionale non voluta dalla coscienza. E’ come se la persona, in modo consapevole o inconsapevole che equivale a dire in tutto lo spazio del suo essere ‘organismo’, fa delle scelte e riconosce ad esempio che quell’emozione può stare in superficie con quel contenuto e quella forma e quell’altra no perché compromette l’adattamento e alimenta fantasie catastrofiche. Tutto questo è l’economia della persona, il suo movimento. Capita che in relazione con i suoi simili (perché ognuno di noi ha dei simili!) la persona non possa, purtroppo e fortunatamente, controllare così facilmente tutto questo suo possibile movimento emozionale proprio perché nella relazione, sintonizzandosi con l’altra ed essendo da lei ‘toccata’, lo spazio dove ‘fare economia’ diviene più grande, più ricco di stimoli e variegato. 

In Gestalt si usa la tecnica della ‘sedia vuota’ ogni volta che il paziente entra in contatto con una sua disputa, ogni volta cioè che ha la necessità come di districarsi tra un ‘botta e risposta’ cronicizzato e carico di energia. Ecco che allora, instaurando lo scenario ideale affinché possa confrontarsi esprimendo i vari personaggi da una qualche posizione riconosciuta e diversificata (si fa questo con le idee, i bisogni, gli sguardi, i desideri.. e per questo di solito il paziente cambia di sedia esprimendo le parti), si viene a creare lo spazio per poter andare al di là del sintomo iniziale e utilizzarne l’energia. Le parti possono arrivare ad un compromesso, come ad un patto con il quale l’economia globale ricerca più comodità dovuto al confronto delle diverse esigenze, o addirittura ad una sintesi come ad un movimento veramente nuovo e frutto di una integrazione tra poli. 

Nel T-group è chiaro che questo scenario della pluralità è completamente permesso, c’è come un habitat molto favorevole a tutto questo, un setting molto costringente e votato al cambiamento. Il passaggio, anche lì, è l’accettarsi come parte e rinunciare ad essere tutto. Per accettazione si intende l’atto responsabilizzato del soggetto che si relazione con consenso a una pluralità, all’insieme delle relazioni possibili: è lui stesso che si prende e si vede in toto. Il dispositivo costruito sull’auto-centratura del T-group è il posto ideale per questa presa di responsabilità, essa è spinta a fuoriuscire proprio attraverso i fenomeni di proiezione. 

Come dice Ginger “al momento di fronteggiare l’ambiente si ha la proiezione” e nel T-group c’è una forte spinta a fronteggiare un ambiente che si rivela sempre più importante e capace di racchiudere nel presente la significatività dell’esistenza per il soggetto. Il setting apre di continuo lo spazio a tutto il fluire delle proiezioni con le quali i soggetti cercano in qualche modo di orientarsi nell’esperienza. 

C’è libertà per i partecipanti per sintonizzarsi secondo il loro passo e essenzialmente secondo la loro esperienza presente proprio come si tende a sperimentare da pazienti in una seduta di psicoterapia di stampo esistenzialista. Il volere è della persona, così come il suo movimento. 

Il lavoro che si fa con il paziente in psicoterapia è simile a ciò che nel T-group si ‘s-pacchetta libero’ tra le persone, come se lì i partecipanti fossero tutti possibili sedie vuote per qualche partecipante, c’è un via vai di processi sintomatologici, di compromessi, magari di sintesi, un via vai tra proiezioni e parti di sé allontanate, incontri. L’accettazione è l’appartenenza; come dice Lewin si passa da una fase congelata, dove tutto è riconosciuto e utilizzato anche se non più idoneo nella situazione fertile del presente, a una situazione di scongelamento carica di emozione liberata e quindi di energia calda. Questa fase dà la possibilità di ‘reimpastare’ una forma nuova dell’individuo con i suoi bisogni e del gruppo con i suoi individui. E’ quindi un passaggio: da una posizione guidata completamente dal narcisismo e dalla voce che dice “sii tutto!”, a una posizione fertile affezionata alle relazioni come ad uno spazio migliore e con la voce che urla “sono parte!” 

Presento un elenco di Campbell e Dunnette (1986) con sei obiettivi del T-group e provo a leggerlo alla luce di tutta questa similitudine tra ciò che esso permette con il suo setting e il lavoro che si fa con il paziente in psicoterapia della Gestalt: 

  1. aumento della consapevolezza circa il proprio comportamento. 
  2. incremento della sensibilità circa il comportamento altrui. 
  3. miglioramento della consapevolezza e comprensione circa i tipi di ‘processi’ che facilitano o inibiscono il funzionamento di un gruppo. 
  4. rafforzamento delle competenze diagnostiche nelle situazioni interpersonali, intergruppali e sociali. 
  5. aumento delle capacità di azione. 
  6. apprendimento dei modi per apprendere. 

Con i punti 1 e 2 si parla di tutto lo scenario della tecnica ‘sedia vuota’ nella quale parti del sé si esprimono e si confrontano da una distanza scelta fino a riconoscersi per quello che sono, per i propri bisogni e per il proprio essere ‘risorsa’. 

Il punto 3 e il punto 4 sembrano parlare di un’accresciuta dimestichezza circa il funzionamento del proprio carattere, il modo quindi di ‘funzionare’ come sistema tipico e inteso in senso nucleare: quando nel punto 3 dice “miglioramento della consapevolezza circa i tipi di ‘processi’ che facilitano o inibiscono il funzionamento di un gruppo” può parlare di cosa migliora la qualità di vita della persona ed esempio con tutte le sue parti, il processo tipico di comportamento e quando poi nel punto 4 dice “rafforzamento delle competenze diagnostiche nelle situazioni interpersonali” può intendere ad esempio come lei si avvicina, come vive e interpreta la relazione con l’ambiente e con l’altro, che tipo di diagnosi fa per prepararsi. 

Il punto 5 ricorda l’essere ‘palestra per la relazione’ di un setting gestaltico, dove cioè si esplorano nuove possibilità e dove ci si prepara alla novità più di quanto il carattere non ci permette con il suo automatismo. 

Il punto 6 invece suona solenne come il ‘motto’ che delinea il compito di un gestaltista: aiutare il paziente ad aiutarsi da solo, del resto la Gestalt così come tutte le psicoterapie umanistiche sono figlie del T-group in quanto padre dell’approccio esperienziale di Lewin. Non c’è nessuno che cura così come non c’è nessuno che insegna, c’è solo chi vuole aiutarsi e chi vive un’esperienza: in quest’ottica il gestaltista come il trainer sono solo i garanti di questa possibilità. Il T-group può essere visto come un’esperienza di cambiamento allo stesso modo con il quale può esser considerata la psicoterapia esperienziale della Gestalt. Non è un caso se Carl Rogers lo definisce “la scoperta più significativa del XX° secolo nell’ambito delle scienze sociali”

Concludo con un elenco di Lennung (dall’opera a cura di Contessa e aa.vv.) con cui si individuano i suoi fattori di efficacia e anche qui sembra di parlare di quei processi che si attivano attraverso un percorso di esplorazione del sé e del potenziale umano così come avviene in Gestalt e dove cioè si favorisce nel soggetto la presa di responsabilità sulla sua vita: 
  1. il cambiamento è derivato dallo scambio di feed-backs 
  2. il cambiamento è determinato dalla messa in discussione dell’equilibrio mentale e psicologico precedente 
  3. il cambiamento si fonda sul chiarimento, l’esplorazione e l’espressione delle emozioni 
  4. il cambiamento deriva dall’analisi e discussione dei processi inconsci individuali ed interpersonali 
  5. il cambiamento è stimolato dall’esposizione ad una esperienza emozionale molto coinvolgente 
  6. il cambiamento deriva dalla possibilità di gestirsi in libertà senza obblighi o divieti 
  7. il cambiamento deriva dal fatto che alcune importanti capacità si dimostrino inadeguate 
  8. il cambiamento si basa su un sentimento di maggiore sicurezza di sé