Un attimo, vale sempre la pena


Un attimo, vale sempre la pena.
Un attimo, è completo, è tutt’altro che breve.

Lo si comprende se pensiamo all’eternità, che è completa anche se non v’è un termine, un confine. Lo stesso per l’attimo, è completo anche se tende a non esistere da quanto fugge.

Tutto fugge, tantissimo ci sfugge.

Il presente somiglia all’attimo, fugge, ci sfugge ed è in ogni caso completo per definizione; non può esserlo il futuro fatto di ipotesi e aspettative e non può esserlo il passato, fatto a sua volta di ricordi più o meno liquidi, di rimorsi, di un movimento continuo anch’esso. Il presente è, semplicemente: è il reale, quello che c’è, il posto di tutto quello che c’è.


L’attimo è completo. Ma appunto sfugge, di continuo.

Dicevamo del passato come incastrato in un movimento continuo; il futuro è ugualmente incastrato in un movimento continuo, è fatto di sostituzioni continue dei bisogni, quelli più repentini, fisici, psicologici, e quelli più distesi sullo sfondo, gli esistenziali, i progetti di vita. Gli ingredienti del passato come quelli del futuro sono colmi di tensione che recano un movimento continuo e in questo senso va vista la vita intera praticamente.

Ma allora dove sta l’attimo, il presente dove vive? Se passato e futuro sono in/il movimento fisico e psicologico, il presente e i suoi lampi, gli attimi, dove stanno?

Di getto, la risposta è: nella coscienza. Nella coscienza vive il presente, solo nella coscienza. Tutto questo sparlare viscerale sull’attimo è volto a parlare anche della coscienza, inestricabilmente. E vengo a liquidare subito la questione che chiede convinta di vedere anche il passato e il futuro nella coscienza. Vi sono, è vero, ma in virtù del presente, sempre. Si può parlare della coscienza e tutto diviene presente: lì, solo lì vi è il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. In ogni caso presente. E questo, così come ho iniziato a scrivere, vale sempre la pena.

E’ una cosa che costa l’attimo, il presente. Talvolta arriva gratis, le altre volte è sempre una cosa da conquistare. Quando arriva gratis condiziona fortemente, quando è conquistato è padroneggiato e cavalcato pienamente. Non viviamo di attimi, né quindi di presente ma di passato e futuro come lacci che ci tirano da una parte e dell’altra, veniamo sballottati in mondi che non sono più o ancora. E’ semplice, il passato non è più e il futuro non è ancora dice Agostino.

Da sempre si dice e si legge, in pagine vomitate sapientemente da illustri menti, che il tempo non esiste. In effetti, logicamente non può che essere proprio così. Esiste l’orologio che ci orienta nella luce del giorno e nel buio della notte, lo fa in un modo in una parte del mondo e lo fa in un altro in un’altra parte del mondo. Anche se ha una precisa durata quella o quell’altra cosa oramai siam così esperti da riconoscere che il vissuto del tempo è assolutamente relativo, è legato alle emozioni un momento che sembra fugace e un altro che è sentito come non finire mai, magari si tratta ugualmente di pochi tratti delle lancette di un orologio ma in ogni caso, dipendentemente dal vissuto, per qualcuno vi è un attimo e per qualcun altro un’eternità. Questo è empirico, ce lo dice l’esperienza. E poi c’è la logica per l’appunto che dice che, senza possibilità di critica, il passato per definizione non è più e il futuro non è ancora: in tutti e due i casi non-è, un non essere.

E quindi il tempo non-è se non presente. E parlavamo dell’attimo come qualcosa di prezioso, completo, rilegato nelle eccezioni delle leggi che affermano il non-essere del tempo. E allo stesso modo impreziosivamo la coscienza come vissuto del tempo, del presente. Avere coscienza di qualcosa significa appartenervi, renderne completa l’esperienza, senza distanza: è nella distanza che si insinuano i magneti e i lacci dei vissuti incoscienti, ciò che detta legge dal passato come ciò che impone legge dal futuro. Il presente è completezza e non necessita di movimento, anzi, è devoto al movimento stesso, lo accoglie senza ostacolarlo. 

L’attimo vale sempre la pena, poiché qualunque connotazione possa avere e lasciare come un’impressione fotografica sul sé lascia qualcosa di completo, un assaggio dell’unione che cerchiamo sin da quando siamo in vita, sin da quando esistiamo e fino a quando non lasceremo questo tratto per chissà dov’altro dare la nostra partecipazione e presenza. Si dice che i nostri forti ricordi sono sempre legati a degli attimi di presenza, tutto il resto è spazzatura, ingombra lo spazio interiore ingannandoci e viziandoci nelle riflessioni.

L’attimo, la coscienza, è un’impronta sul sé, indelebile, forte, presente appunto. E’ gratuita talvolta, nel senso che non facciamo nulla per chiamarla, che non abbiamo la sensazione di fare alcunché di particolare quindi per ottenerla. Questo ha a che fare con la vita in generale: ci sarà sempre un muoversi di mille e mille cose intorno a noi che pian piano ci sfiorerà, ci toccherà, ci travolgerà lasciandoci a pezzi talvolta o comunque fortemente condizionati, provati, inevitabilmente trasformati. Questi sono gli attimi che fanno parte di qualunque vita e che ci ricordano cosa significhi essere presenti, che ci danno modo di ricordare l’esperienza della completezza, che ci invitano ad aguzzare gli occhi, l’attenzione, e che nello stesso tempo, ed è forse la cosa più importante, ci suonano la sveglia per iniziare o continuare con forza a far qualcosa affinché il resto della nostra vita non scorra come ha fatto nel buio e nel rumore fino a quel momento. Come dire, la vita ogni tanto ci sveglia e prova a farlo con l’intenzione di darcene l’esempio, di ricordarcelo.

Tuttavia, possiamo far qualcosa per tenerci pronti a ciò che la vita farà in quel senso e al contempo possiamo far qualcosa per ridurre al minimo quella immensa tentazione di vivere assopiti e sballottati così avvincentemente dal traino di quei lacci del passato e del futuro. L’unico reale è nel presente, il resto è pausa, è chiusura, è prigione, un carcere, un carcere interiore. E ancora, l’attimo vale sempre la pena, soprattutto poi se ci vede artefici della sua accoglienza, se ce ne occupiamo, nella fede per le cose reali che lasceremo fluire senza opporci con forze tentatrici e risuonanti.

Possiamo sforzarci, spendere le nostre energie per renderci pronti e aperti al fluire del reale.